Lodges in Nkombo Island, Lake Kivu
Apertura 21 marzo 2022
L’idea identitaria che ha animato i progetti nel borgo di Santo Stefano di Sessanio e nei Sassi di Matera vuole essere riproposta con una filosofia assimilabile in un altro luogo della “marginalità”, l’Isola Nkombo, lago Kivu, Rwanda.
Un’isola di confine in territorio Rwandese, abitata per lo più da popolazioni Congolesi dedite alla pesca, agricoltura e pastorizia, con un’economia di pura sussistenza. Un’isola che vede solo qualche volta all’anno, nella zona limitare alla terra ferma, operatori occidentali legati a organizzazioni religiose o non governative. Gli abitanti dell’isola parlano un dialetto specifico di questa area, il Mashi. La memoria orale racconta che le ragazze Rwandesi incinte ma non sposate, oppure sposate ma un poco liberali rispetto al concetto di monogamia, venivano gettate nel lago vicino all’Isola dei Pescatori, salvate da questi, condannate però a uno stadio intermedio tra collaboratrici domestiche e vera e propria schiavitù. Dalle unioni tra i Pescatori Congolesi e queste ragazze Rwandesi, si sarebbe formata l’attuale popolazione stanziale dell’isola.
Il progetto delle Capanne prende avvio dal materiale presente nel Museo Etnografico del Rwanda(Butare) dove sono presenti le capanne tradizionali e quella del Re Tutsi. Questa tipologie di capanne non sono dissimili da tante altre che si trovano nelle montagne della foresta equatoriale.
Le piccole licenze poetiche in questo progetto, laddove erano poco proponibili le soluzioni originarie, prendono le mosse, senza alcuno stacco contemporaneo, dalle tecniche costruttive locali in contesti e usi differenti da quelli originari. Nonostante si sia avuta a disposizione una strumentazione molto semplice, grazie all’alta qualità della materia prima e a notevoli tecniche artigianali, il risultato è un’essenzialità di forme e proporzioni. I bagni, sebbene non tradendo l’originale atmosfera, prevedono gabinetto, bidet e doccia.
La zona dove sono collocate le Capanne è posta all’estremità settentrionale dell’isola Nkombo, sul lago Kivu, quella più distante dalla terra ferma, con la più bassa densità di popolazione e abitata da una minoranza Musulmana che, nonostante la povertà, si caratterizza per alcune fogge di particolare grazia nei vestiti femminili.
Come in tutta l’isola, anche nelle nostre capanne si vivrà di auto sussistenza tramite le produzioni agricole nel nostro terreno e attività di allevamento che caratterizzano l’economia familiare. Le colture alimentari e gli animali sono quelle tradizionali che si trovano nei villaggi equatoriali con qualche specificità presente nell’isola. Per quanto riguarda le colture, annoveriamo la manioca, dalle cui radici si produce il bugali e dalle cui foglie il sombe, le patate dolci, i fagioli, i piselli e il mais per realizzare bugali di mais e la bouillie di mais per la prima colazione. Gli animali da cortile presenti sono le galline, gli ovini, le capre, i maialini neri e inoltre un asino per il trasporto e infine animali sacri che non possono essere uccisi, come le mucche dalle grandi corna originarie dei pastori Tutsi che producono latte, formaggio e yogurt tradizionale e, sebbene con un destino più precario, le pecore che dovrebbero la loro sopravvivenza al fatto di accompagnare queste mucche.
Una tradizione molto sedimentata che dovrebbe, forse, andare oltre i bisogni primari è la produzione di “birra di banana”, un fermentato locale, presente in molte aree della foresta equatoriale occidentale. Un piccolo commercio al di là dell’auto sussistenza sarà l’acquisto del pesce dai pescatori locali e la possibilità di consumare insieme a loro le zuppe di pesce che vengono tipicamente preparate al tramonto. Verranno inoltre selezionati i migliori prodotti del Rwanda, quali il the, il caffè, ecc. Ci sarà infine un cuoco con la possibilità di allargare un poco, per molteplici tipologie di esigenze, quanto offre il territorio.
Oltre le due capanne, la zona conviviale, l’attigua cucina, un poco più distante è situata una ulteriore cucina realizzata secondo le stringenti normative di questo paese, e a chiudere questo piccolo villaggio c’è la casa del guardiano e la casa della famiglia locale dedita alle attività agricole e di piccolo allevamento.
Abbiamo scelto come data di apertura il 21 marzo 2022 perché stiamo formando un ragazzo del posto su materie che riguardano l’aspetto floristico e faunistico del territorio, fondamentalmente piante e uccelli e, in particolar modo, sull’aspetto antropologico con alcuni concetti generali della cultura Rwandese e Congolese. Realizzeremo poi delle interviste agli anziani dell’isola, a partire proprio dai genitori e parenti del ragazzo, in una popolazione con un certo sincretismo religioso e alcuni riti paganeggianti. Questi racconti verranno narrati infine anche ai nostri ospiti.
Rispetto al tipico resort Africano, nel progetto Capanne l’elemento antropologico locale diventa l’elemento intorno al quale gira tutta la permanenza presso l’isola. Il tentativo, anche in questo terzo progetto (dopo Santo Stefano di Sessanio e Matera) e in maniera ancora più drammatica rispetto ai precedenti due, è quello d’impedire che il turismo devasti i sottili equilibri del territorio. In Italia il problema è la difficile tutela storico paesaggistica in borghi laddove abbiano superato incolumi gli ultimi 70 anni, in Africa il problema è puramente culturale. Tutte queste operazioni saranno volte all’obiettivo più importante di mantenere gli equilibri socio/culturali originari, così da conservare la dignità delle popolazioni locali, non trasformandole in masse di questuanti o, nel migliore dei casi, di venditori di improbabile artigianato artistico locale, come avviene in molti resort Africani. Questa sarà la sfida più difficile di un progetto che parte coi migliori propositi, ma con variabili non facilmente prevedibili.
Il progetto capanne è finanziato interamente dai soci di Sextantio attraverso la Onlus che dal 2008 fornisce l’assicurazione sanitaria alle persone più indigenti nello stato del Rwanda, limitatamente alla popolazione povera che, vivendo di auto sussistenza, ha oggettive difficoltà a pagare l’assicurazione che serve per curare malattie molto comuni, poco dispendiose ma con alta mortalità. Il Rwanda è l’unico paese, rispetto ai paesi limitrofi con cui ha condiviso la propria storia (Burundi e Repubblica Democratica del Congo), in cui non è evidente la presenza per le strade di queste malattie facilmente curabili ma dalla prognosi infausta, a dimostrazione dell’efficacia del progetto.
Foto in alta risoluzione: https://bit.ly/3CXQqV2
Daniele Kihlgren